Epistemologia Advaita
[parte I]
- di
- Dr
Godavarisha Mishra
Introduzione
Un
importante e comune assioma della Filosofia Indiana è che uno specifico
oggetto di conoscenza empirica o altra, è determinato da un definito
processo di consapevolezza.
Tutti
gli oggetti di conoscenza possono essere inclusi all’interno
dell’individuo (jiva), il mondo (jagat) e Dio (Isvara). Dato che gli
oggetti conosciuti corrispondono ai mezzi attraverso cui andiamo a
conoscerli, mezzi che sono sotto il comando diretto della mente, la
conoscenza necessita un esame della mente prima di quello di un oggetto
specifico.
Gli
strumenti epistemologici sono designati a determinare la natura e lo stato
degli oggetti tanto quanto le realtà metafisiche. Nella Filosofia
Indiana, il termine tecnico usato in questo contesto è pramana, che
significa, mezzi o fonti di conoscenza. Il termine generico per
epistemologia in Sanskrito è pramana-vicara.
Perchè
cominceremo con pramana-vicara? Domandandoci come conseguire
la via della conoscenza è necessario
prima di investigare cercare di determinare la natura degli oggetti e dei
fenomeni. Ciò viene fatto per far riconoscere i mezzi di conoscenza o
pramana. La richiesta di conoscenza deve essere sostenuta dalla fonte, che
è pramana.
Il
Mimamsaka, afferma che l’esistenza del cielo (svarga) è basata sulla
fonte della rivelazione Vedica (Sruti-pramana). L’affermazione della
presenza di un fuoco sulla cima della montagna, dove si vede solo il fumo,
è basata sulla fonte di inferenza (anumana-pramana). Infatti, ogni
affermazione di sapere deve essere fondata in un pramana. La conoscenza
ottenuta attraverso un pramana è chiamata prama.Il termine jnana,
(conoscenza) è stato spesso coniato con lo stesso significato di prama.
In poche parole, jnana indica conoscenza e non sempre significa –come
nel caso di prama - retta conoscenza. Se prama si riferisce sempre ad una
retta conoscenza, jnana no.
Quest’ultima
può esprimere valida, non valida, o dubbia conoscenza (samsaya jnana,
asamsaya-jnana viparyaya-jnana). Il numero dei pramanas variano da scuola
a scuola. Per la scuola materialista (Carvaka), la percezione (pratyaksa)
è il solo principio di conoscenza accettato. Le scuole Buddiste e
Vaishesika accettano due pramanas, percezione e deduzione. Le tradizioni
della Samkhya e dello Yoga accettano questi ultimi due pramanas solo come
testimoni (sabda). La scuola Nyaya accetta questi ultimi tre e anche
l’analogia (upamana). Nella tradizione Purvamimamsa, io maestro
Prabhakara accetta i quattro pramanas sopra citati e aggiunge l’ipotesi
(arthapatti).
Il
maestro Bhatta accetta un sesto pramana chiamato non-percezione (anupalabdhi).
La
scuola di pensiero Advaita accetta anche questi sei pramanas ma soltanto
dal punto di vista della realtà empirica (vyayahare bhattanayah). Le
scuole Vishistadvaita e Dvaita del Vedanta accettano tre pramanas, i.e.,
percezione, inferenza e testimonianza, includendo gli ultimi testi della
Sruti e Smrti).
Ognuna
delle scuole indicate qui di seguito discutono, a grandi linee, la ragione
per la quale accettano o rinnegano alcuni significati della conoscenza. I
mezzi interpretativi e di ragionamento che le scuole Mimamsa e Nyaya
forniscono rispettivamente sono particolarmente rilevanti per lo studio
delle scritture e quindi importanti per tutte le scuole Vedanta.
Nell’interpretare
i testi bisogna considerare la legge della parsimonia, vale a dire,
l’economia nell’uso delle parole. Se violata, può portare a errori
interpretativi (doshas) detti laghva (troppo stretto) o gaurava.
Differenti
definizioni di prama:
1. nel
Buddismo - prama corrisponde alla teoria pragmatica occidentale della
verità/conoscenza, ativyapti, avyapti asambhava-rahitatvam
laksana-laksanam.
2. Nel
Nyaya - prama è in corrispondenza parallela con la teoria della verità.
3. Nello
Samkhya- prama è relazionata alla coerenza della teoria della verità.
4. In
Advaita – nessuna delle precedenti.
Nella
visione Buddista - La vera attività di cognizione è quella che porta
alla conoscenza (arthakriyakaritvam). Questa visione è presente nella
teoria pragmantica di William James. Questa visione è imperfetta in
quanto la cognizione che porta ad una attività di successo potrebbe
rivelarsi falsa. Per esempio, tutti percepiamo erroneamente il sole come
sorgere e quindi iniziare ad agire. Ogni caso di attività riuscita non è
quindi legata ad una vera cognizione.
Visione
Nyaya – più o meno, Nyaya vede la conoscenza in un modo che suggerisce
corrispondenza con la teoria della verità.
La vera
cognizione è quella per cui un oggetto dato è percepito come tale nel
posto che realmente occupa (yatra yadasti, tatra tasya anubhavah prama).
In Occidente, i filosofi che credevano alla scuola del realismo avevano
anch’essi formulato questa teoria. Tale formulazione non è priva di
difficoltà. Potrebbero esistere reali corrispondenze tra la conoscenza e
gli oggetti? Somiglianza o corrispondenza tra due oggetti esterni al
nostro essere è possibile, anche due idee possono essere paragonate. Ma
come può la conoscenza di un oggetto essere paragonata quando la
conoscenza è solo soggettiva e l’oggetto è solamente oggettivo. Nessun
confronto è possibile tra questi due.
Punto
di vista Samkhya – Coerenza della teoria della verità:
La
cognizione è vera se è coerente con la cognizione degli altri –
dovrebbe esserci conseguenza tra le cognizioni di un oggetto dato (samvada)-
o se è coerente con un sistema di conoscenza che già si possiede. In
quest’ultimo caso, la domanda che ci si può porre è come possa esserci
accordo tra due cose che non sono viste simultaneamente.
Nel caso di una conoscenza coerente con una conoscenza
precedentemente acquisita non c’è garanzia che quest’ultima sia vera.
Se a un certo punto, la conoscenza già acquisita si dovesse rivelare non
vera e quindi negata (badhite sati), quale sarebbe allora il criterio per
testare la veridicità della nuova conoscenza?
A causa di
questa imperfezione, l’Advaita postula l’immutabilità (abadhyatvam)—una
cognizione è vera se resta immutata—come unico affidabile criterio per
determinare la vera conoscenza. L’Advaita afferma anche che oltre ad
essere abadhyatvam, la conoscenza deve essere anadhigatatvam, cioè,
conoscenza di un nuovo e unico oggetto. L’esempio più frequente che
illustra l’abadhyatvam è il “serpente-corda”. La percezione del
serpente-corda non è reale perché viene sostituita quando viene
coerentemente appreso come una corda. Quando una persona percepisce una
corda al posto di un serpente, pensa
"Questo è un serpente”. "Questo" per un attimo assume la
forma di un serpente fino a che la percezione della corda si fa strada.
Nel realizzare che “questo” era e non è altro che una corda, la falsa
percezione del serpente viene definitivamente cancellata. Di fronte a
questa erronea percezione del serpente si scatenano varie reazioni fisiche
e psicologiche, come per esempio, paura, tremore ecc. (bhayakampanadikam).
Risultato della corretta cognizione è il verificarsi di tutte queste
reazioni. Queste due cognizioni non possono coesistere, in quanto
l’ultima sostituisce la prima. La successiva cognizione è detta badhaka
jnanam. Vale la pena tenere a mente che sebbene la percezione iniziale si
sia dimostrata essere non vera, il suo vero contenuto (visaya) resta
sempre il serpente. Ciò che viene rimosso e sostituito dalla corretta e
finale percezione della corda, è la falsa idea che fosse un serpente. La
cognizione in sé non può essere rimossa ma lo è il suo essere appresa
come qualcosa di altro, di diverso rispetto a ciò che si era creduto. Così,
la rimozione (badhyatva) si applica solamente ai casi di percezioni
erronee. Dal punto di vista della nostra esperienza ordinaria, comunque,
poiché la percezione del mondo resta immutata, si potrebbe arguire che
nel mondo della pluralità sia vero!
Questa è
una falsa asserzione; la cognizione del mondo viene rimossa quando, per
esempio, si percepisce lo stato del sognare. Si deve quindi verificare la
veridicità di questa affermazione per se stessi.
L’Advaita
sostiene che la conoscenza ultima della realtà sia un’unica cognizione
non è soggetta ad eliminazione. Poiché permanente ed inalterabile, il
suo contenuto deve essere vero.
Questa
conoscenza unica e permanente di cui parlano le scritture, è stata
concessa a coloro che, con mente pura, hanno realizzato e si sono
stabiliti in tale livello di conoscenza. Secondo l’Advaita, il
raggiungimento di quest’unica conoscenza è lo scopo della ricerca degli
Upanishadica.
Affermazioni
della sostituzione:
-Tutti i
casi di percezione erronea, nella veglia e nel sogno. L’esperienza
percettiva in entrambi, sogno e veglia, sono considerati reali durante
l’intero corso di questi stati. La sostituzione accade in uno e nello
stesso stato. Il serpente-corda diventa corda. Qui il serpente-corda, un
apparente oggetto (Pratibhasika-vastu) è sostituito o contraddetto da un
valido pramana.
-Tutti i
casi di oggetti percepiti nella veglia. Tutti gli oggetti percepiti nello
stato di veglia sono suscettibili di essere sostituiti e sono, per questo,
falsi. Ogni cognizione di questi oggetti di veglia si dimostra essere
falsa nel momento della transizione tra sogno e veglia o tra veglia e
sogno, poiché entrambe, la cognizione e ciò che viene percepito, sono
eliminati.
Per gli
Advaitins, lo stato di veglia non è considerato uno stato privilegiato.
Ciò non significa che non ci sia differenza tra i falsi fenomeni che
capitano solo nello stato di veglia (miraggi, ecc.) e la falsità di
entrambi i contenuti degli oggetti tanto della veglia quanto del sogno.
Gli
oggetti che appartengono al livello della veglia sono chiamati oggetti
empirici (vyavaharika vastus). Sembrano durare più a lungo degli oggetti
che appartengono allo stato del sogno (pratibhasika vastus), eppure sono e
restano falsi (mithya) perché non sono eterni.
Ora,
gli Advaitins affermano che il Sé è sempre cosciente e pienamente
indipendente dagli stati e dai contenuti. Il Brhadaranyaka Upanishad ci
dice senza ambiguità che la natura conoscitiva del Sé non si ferma mai.
Le ragioni per cui la cognizione di Sé
(Atma-vastu) a differenza della conoscenza degli altri oggetti non
può essere sostituita, sono queste che seguono:
1)- La cognizione del Sé
è quella della realtà ultima, espressa in termini di identità di
Brahman e Atman.
2)- La cognizione del Sé
avviene attraverso il pramana della Sruti che non ha autore (apauruseya),
ed è libera da errori di omissione e commissione. Per gli Advaitins,
quindi, l’autorità delle Scritture non può essere messa in
discussione. L’Advaita accetta l’eterna validità della cognizione di
Sé perché originata dalle scritture. Tutti gli altri pramanas sono
validi dentro la sfera del vyavahara.
La Sruti è il pramana
per eccellenza perché costituisce il mezzo per poter conoscere la sola
cosa che valga la pena conoscere, Brahman-Atman.
3)- Se una cosa è
soggetta a mutare, deve essere contraddetta da un pramana. La cognizione
del Sé non è contraddetta da nessun altro pramana- na nasyati na vedanam
pravalam manam iksate (Pancadasi)- per cui non può essere mai negata.
Tutti i pramanas diversi dalla Sruti hanno valore per quanto riguarda gli
oggetti empirici.
I semplici pramanas non
godono di nessuna importanza perché Brahman-Atman non è un oggetto di
cognizione, essendo il vero soggetto dell’essere di ognuno. I pramanas
empirici e la Srutipramana non possono mai contraddirsi gli uni con gli
altri perché i loro referenti sono diversi. La cognizione permanente
della Realtà-Brahman-Atman- è assolutamente reale e viene tecnicamente
chiamata paramarthika. Le cognizioni impermanenti del sogno così come
degli oggetti percepiti durante la veglia ed altri fenomeni sono da
ritenersi falsi e sono quindi detti vyavaharika. [...]
Vishistadvaita da la sua formulazione di prama come
yathavasthittta-vyavaharaanugunam jnanam prama.
http://www.ocvhs.com/
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