Sri
AnandaMayi Ma
-antologia
di discorsi-
L'azione
Mataji:
Pitaji, che cosa chiamate ‘nishkama karma’ (azione libera dal
desiderio)?
Un devoto: Non sembra possibile compiere un’azione priva di desiderio,
vale a dire senza attaccamento per il lavoro o per il suo frutto, ma solo
per il senso del dovere. Secondo gli shastra, solo chi ha raggiunto la
perfetta realizzazione ne è capace; fino a quando si è legati agli
oggetti dei sensi è impossibile. D’altro canto, ciò che si fa con
spirito di dedizione a Dio può svilupparsi in lavoro fatto senza
desiderio.
Mataji: Con o senza desiderio è ancora azione. Non si può rimanere in
alcun modo senza azione fino a quando non si manifesta lo stato del Puro
Essere. Cercate di comprendere anche quest’aspetto.
Quando v’abbandonate al guru, dovete obbedire in maniera incondizionata
ai suoi ordini. Nel farlo, il vostro solo movente dev’essere quello di
fare la volontà del guru. Di conseguenza, se nel compiere il lavoro
diventate sempre più ansiosi di fare del vostro meglio, potete definire
anche questo un desiderio nel senso comune del termine? Impegnarvi con
tutto il cuore per essere efficienti, al solo scopo di compiere la volontà
del guru, è certamente un buon desiderio.
Se per qualche motivo dovesse sorgere anche il più piccolo risentimento,
l’azione non si potrà più definire priva d’attaccamento. Supponete
che, dopo aver compiuto la maggior parte di un lavoro, dobbiate
abbandonarlo e che verso la fine qualcun altro lo riprenda, lo completi e
si prenda il merito d’aver portato a termine l’intera opera. Se vi
risentirete, anche solo minimamente, non si può dire che il lavoro era
stato fatto veramente con disinteresse. È ovvio che non era proprio
libero dal desiderio di riconoscimento.
Quando v’abbandonerete al guru, questi potrà fare qualunque cosa,
sottoporvi ad ogni genere di prove, e tuttavia continuerete a considerarvi
uno strumento nelle sue mani. Allora avrete raggiunto uno stadio in cui,
malgrado tutte le difficoltà, persisterete nel vostro lavoro sapendo che
questo è l’ordine del guru. Ricordate, con questa attitudine diverrete
più risoluti nella sopportazione, nella pazienza e nella perseveranza, e
la vostra energia e la vostra capacità aumenteranno.
Nell’azione è destinato ad esservi conflitto. Quando ci si libererà da
questo conflitto? Quando non ci si sentirà più offesi. Bisogna essere
pronti ad obbedire a qualsiasi ordine, anche nel bel mezzo del lavoro,
sempre e in qualunque circostanza. Immaginate d’avere fame e che
nell’istante in cui sollevate la mano per mettervi il cibo in bocca vi
venga chiesto d’andare altrove. In quello stesso istante dovete lasciare
cadere con gioia il cibo che stavate per mangiare, e obbedire alla
chiamata. Una tale attitudine indica che si è stabiliti in una felicità
che non è di questo mondo. Quando ci si avvicina allo stato in cui non
c’è sforzo,* essere più o meno biasimati per una mancanza nel proprio
lavoro lascia completamente indifferenti. Solo allora si diventa uno
strumento nelle Sue mani. Il corpo si muove come uno strumento, lo si
osserva da spettatori, e si può valutare con quanta calma ed efficienza
compia una grande varietà di lavoro.
Il lavoro fatto senza ego è pieno di bellezza, poiché non è motivato
dal desiderio di gratificazione personale. Finché non saranno sciolti i
nodi che costituiscono l’ego, vi sentirete feriti anche quando vorrete
agire in maniera impersonale, e questo produrrà un mutamento
nell’espressione dei vostri occhi e del vostro viso, e sarà palese in
tutto il vostro comportamento. L’ardente preghiera: “Fa’ che il mio
cuore sia libero dalla brama dei risultati”, è ancora desiderio di un
risultato; tuttavia, continuando ad aspirare all’azione disinteressata
c’è sempre speranza che vi si pervenga.
Nodo significa resistenza. Fino a quando c’è l’ego, ci saranno degli
scontri, anche quando si cerca di fare un lavoro impersonale, poiché si
è legati e dunque spinti in una certa direzione.
Domanda: Non è allora possibile agire senza una motivazione fin quando
non si raggiunge la realizzazione perfetta?
Mataji: Quando si compie il lavoro impersonale e si osserva da spettatori,
dall’interno scaturisce una gioia profonda. Se in quel momento il corpo
venisse offeso, sarebbe ugualmente fonte di felicità; ma
quest’esplosione di gioia non equivale alla realizzazione del Sé. Il
fremito di gioia prodotto dal lavoro impersonale è la Sua gioia fatta
propria, è la Sua felicità sentita come propria. Si è raggiunto uno
stadio in cui la felicità è legata a Lui. In questo stato, poiché si è
perso interesse per i piaceri del mondo, si può fare una grande mole di
lavoro in maniera perfetta; e anche se, nonostante i propri sforzi qualche
lavoro non avesse successo, non ci si sentirebbe turbati. Poiché ogni
cosa ha il suo posto, anche qui è la Sua Volontà che prevale. Non vedete
che questo è un sentiero di gioia? Quanto detto vale però solo quando
l’azione non è macchiata dal senso di possesso; ma neppure questo stato
è la realizzazione del Sé. Perché no? Con o senza desiderio, qui ci si
riferisce al lavoro. Anche se compiuta in maniera impersonale, l’azione
rimane ancora separata da chi la compie; mentre dove c’è il Sé e
nient’altro che il Sé, il guru, l’insegnamento e il lavoro non
possono esistere separatamente. Fino a quando permane la dualità tra
precetto e azione non si può parlare di realizzazione del Sé. Il gioco
di chi è pervenuto al coronamento finale è completamente diverso dal
lavoro diventato disinteressato in virtù dello sforzo. Quanto detto è la
risposta alla vostra domanda.
Anche quando si è raggiunto il samadhi, nel quale un individuo sembra
essere completamente assorto all’interno, si tratta ancora di uno stato.
Ma quando con questo processo interiore spontaneo (antarkriya) viene
sollevato il velo, allora può sopravvenire la visione della Realtà.
Questo non può mai accadere attraverso un’attività esteriore, come ad
esempio il tentativo di cancellare il desiderio.
Un’altra cosa, pitaji: vi fu un tempo in cui questo corpo cercava
d’eseguire alla lettera qualunque cosa Bholanath chiedesse. Quando
vide che questo corpo s’irrigidiva, ch’era incapace di compiere certe
azioni mondane o di sopportarle, lui stesso fu felice di ritirare le sue
richieste. Nonostante certi doveri non potessero venire assolti, in un
certo senso fu osservata una stretta obbedienza. Un giorno venne a
trovarci il marito della sorella di Bholanath, Kushari Mahasaya. Quando
vide che questo corpo obbediva a Bholanath in ogni cosa, esclamò
irritato: “Non hai una tua opinione? Devi consultare tuo marito per ogni
piccola cosa? Che situazione! Supponiamo che ti chieda di fare qualcosa di
sbagliato, obbediresti anche allora?”. Ricevette questa risposta:
“Lascia che si presenti l’occasione e guarda quel che succederà nel
momento in cui l’ordine dovrà essere messo in pratica”. Questa
risposta lo lasciò senza parole e da quel momento cambiò il suo modo di
vivere e fu sempre devoto alla ricerca suprema.
Nella vita spirituale c’è uno stadio in cui è possibile agire in
maniera incondizionata e spontanea, perché non ci sono legami. Dove non
esistono legami, non c’è pericolo né sentiero sbagliato, non si può
fare alcun passo falso.
Domanda: Non fu dopo la realizzazione del Sé che foste in quello stato?
Mataji: Lasciate stare questo corpo! Se dite che questo stato viene solo
dopo la realizzazione del Sé, dovete capire che allora è possibile
impersonare ovunque e in qualunque modo l’Uno che interpreta tutte le
parti dell’Uno, il che è completamente diverso da quanto appena detto.
È uno stato d’Unità. Pur rimanendo nella divisione si è indivisi, e
si rimane nell’Unità anche apparendo divisi: questo è Quello (Tat Sva).
Qui, obbedire e disobbedire sono entrambi Quello.
Ci sono segni attraverso cui si possono riconoscere le azioni fatte come
strumento prima della realizzazione del Sé. In questo stadio, il corso
dell’azione è diretto all’adempimento dei bisogni reali; ma nello
stato del puro Essere è completamente differente: fare o non fare,
chiamatelo come vi pare, tutto è Quello. In quella sfera è possibile
tutto: non mangiare mentre si mangia, e mangiare non mangiando; camminare
senza piedi, vedere senza occhi, e altre cose del genere – come direste
voi. Quando si è stabiliti nel Sé, chi obbedisce e a chi? Non ci sono
‘altri’, nessuno è separato. Non si parla più a un altro; come
potrebbe esserci ancora la relazione, che è basata sul senso di
separazione?
Il livello dell’azione disinteressata è completamente diverso dallo
stato di realizzazione del Sé. Fino a quando si percepiscono
separatamente l’amore per il guru, il lavoro e l’ ‘io’ non c’è
realizzazione del Sé. Bisogna però dire che l’azione dedicata a Dio
non è uguale al lavoro eseguito sotto l’impulso del desiderio. Il primo
è per amore dell’unione che conduce all’Illuminazione, l’altro
per amore del piacere che conduce a ulteriori esperienze mondane. È degna
d’essere chiamata ‘azione’ solo quell’azione mediante cui viene
rivelata l’eterna unione dell’uomo con Dio; tutto il resto è inutile,
indegno d’essere chiamato azione. Non bisogna stabilire un nuovo tipo
d’unione, piuttosto si deve realizzare l’unione che esiste per
l’Eternità.
Molto bene, ora ascoltate qualcos’altro. C’è uno stadio in cui
lavorare è molto piacevole e dà un’intensa felicità; in esso si è
del tutto indifferenti a ciò che può risultare dalla propria azione, e
il lavoro viene fatto solo per amore del lavoro. In questo non c’è un
guru esterno né l’amore per Lui. Questo stato esiste. C’è una grande
diversità nel regno dell’azione.
Il senso di contentezza che si prova realizzando un desiderio mondano è
una felicità relativa. Questo desiderio può essere per la moglie, il
figlio, un parente o qualsiasi altra persona, e in conformità si
raccoglierà il frutto relativo ad ogni azione. Questo è agire per la
propria soddisfazione (bhoga), non per amore dell’unione (yoga), e
comporta dolore unito a gioia.
Per tornare a quanto è stato appena detto sul lavoro fatto per amore del
lavoro e non per qualcun altro, immaginate ciò che talvolta si fa anche
camminando per strada, non per amore di qualcuno, ma per amore del lavoro,
considerando lo stesso lavoro l’unico Dio. Anche questo è uno stato e,
continuando a compiere azioni di questo tipo, verrà il giorno in cui si
verrà liberati dall’azione. C’è qualcosa come lavorare per il bene
del mondo, ma qui manca anche questo. È un tipo di lavoro non motivato
dal desiderio o dall’avidità; non si può proprio fare a meno di farlo.
Beh, allora perché si fa? Si è semplicemente innamorati del lavoro.
Quando Dio Si manifesta sotto forma di qualche lavoro, che perciò
esercita un intenso fascino, impegnandosi continuamente in quel lavoro
alla fine si viene liberati da ogni azione.
Domanda: Il lavoro genera solo altro lavoro; come può cessare?
Mataji: Non lo sapete? Se potete concentrarvi completamente in una
determinata direzione così da non poter fare a meno d’agire lungo
quella linea, l’azione sbagliata diventa impossibile. Di conseguenza
l’azione perde la sua presa su di voi ed è destinata a finire. Quanti
stati e stadi ci sono! Questo è uno; certo qui non si è ancora
conseguita la conoscenza del Sé, ma non si può agire in maniera errata.
Né c’è modo di considerare se si deve agire conformemente agli shastra
o in contrasto con essi. Nondimeno, in questo stato di concentrazione su
un unico punto non può prodursi un’azione errata che violi le leggi
enunciate negli shastra. Il corpo umano – il veicolo attraverso cui si
fa il lavoro – è entrato in una corrente di purezza, e di conseguenza
si compie il satkarma, l’azione in armonia con la volontà divina.
Piacere e dolore esistono solo al livello dell’individuo. Nei momenti
d’intenso dolore, quando si è nell’angoscia, nonostante
l’attaccamento a moglie, marito, figlio o figlia, c’è spazio per il
pensiero di questi cari? Non si soffre in un eccesso di
autocommiserazione? In quei momenti l’illusione dei legami familiari
perde ogni presa, mentre regna suprema l’illusione
dell’identificazione con il corpo. C’è l’individuo e di conseguenza
esiste ogni altra cosa; da qui, su questa base, sorge il presunto andare e
venire dell’individuo, il suo ciclo di nascite e morti.
Dovete capire che chi ama Dio deve solo distruggere l’identificazione
con il corpo. Una volta fatto questo si distrugge (nasa)* l’illusione,
la schiavitù o, in altre parole, il desiderio (vasana)**, il ‘non-Sé’
(na Sva)*. La vostra attuale dimora (vasa) è dove il Sé si manifesta
come ‘non-Sé’ (na Sva); una volta distrutto questo, è stata
distrutta solo la distruzione. Ciò che è noto come desiderio mondano può
anche definirsi l’attività che si manifesta in assenza dell’azione
della rivelazione del Sé. Lui non c’è, questo è il punto della
questione, non è così?
Questo corpo vi parla ancora di un altro aspetto – potete indovinare
quale? Come l’Amato (Ishta) è il Sé (Svayam), così anche la
distruzione è Lui, ed anche ciò che viene distrutto. È così laddove
c’è il Sé e solo il Sé; quindi, con chi ci si può associare? Per
questo si dice che Lui non ha un secondo, che esiste da solo. Quando si
dice che Lui appare mascherato, che cos’è la maschera? Lui Stesso,
naturalmente.
Parlate del mondo. Jagat (mondo) significa movimento, e ciò che è legato
è il jiva (l’individuo). Come dice il detto: “Dove c’è un uomo
c’è Shiva e dove c’è una donna c’è Gouri”.***
Si definisce Eterno ciò in cui non c’è questione di nascita e
rinascita né di essere legati. Ora comprendetemi bene: come si può
legare ciò che è movimento perpetuo? Può rimanere in un posto? Poiché
non rimane confinato in alcun posto, non può essere legato quando la
mente è dissolta; dunque, poiché non è mai legato in un posto
particolare, non lo si potrebbe chiamare libero? Allora cosa va e cosa
viene? Ecco, è un movimento simile a quello dell’oceano (samudra), è
Lui che esprime Se Stesso (Sva mudra)****. Le onde sono solo l’alzarsi e
il cadere, l’ondulazione dell’acqua; ed è l’acqua che si forma in
onde (taranga), in parti del suo stesso corpo (tar anga)* – in essenza
acqua.
Da un particolare piano di coscienza ci si chiede: “Cosa fa apparire la
stessa sostanza in forme differenti: acqua, ghiaccio, onde?”.
Riflettete, e vedete quanto riuscite a comprendere! Nessuna similitudine
è mai perfetta; e tuttavia non vi ha aiutato a vedere il problema
relativo al mondo? Che cosa avete realizzato di fatto? Scopritelo!
Molto bene; chiamate transitorio ciò che non rimane mai fermo in un
luogo, non è così? Ma cosa non rimane? Chi non rimane? Chi viene? Chi
va? Cambiamento, trasformazione – che cosa sono? Chi? Afferrate la
radice di tutto questo. Ogni cosa passa; vale a dire, la morte passa –
la morte muore. Chi va e dove? Chi viene e da dove? Che cos’è in
essenza questo interminabile andare e venire? Chi? Di nuovo, non è
questione d’azione né d’andare e venire; da dove viene la nascita, da
dove la morte? Meditate su ciò!
Direte che l’universo non è altro che l’unico Sé. Così ogni forma
è Lui nella Sua stessa forma (Sva akara); cioè, il Sé (Sva),
l’Eterno, rivelato come forma (akara). Che cosa implica questo? La
non-azione (akriya). In che senso non azione? “Solo l’azione dedicata
a Dio è vera azione; tutto il resto è inutile e dunque non è azione”.
Questa è la vostra idea dal punto di vista del mondo. Qui questo tipo
d’azione non esiste. Allora che cosa esiste? L’Azione del Sé (Sva
kriya) – Lui stesso come Azione; Lui stesso come Forma – per questo è
chiamato Sakara (con forma); Lui stesso come Qualità – perciò è
chiamato Saguna (con qualità). Laddove è manifesto il Signore (Ishvara)
o qualcosa riguardante il Suo divino splendore, Lui stesso (Svayam) appare
in azione, pur rimanendo sempre non-agente. Lui come tale è l’Essenza
della verità assoluta. Non azione (akriya), eppure forma (akara)! Forma
significa incarnazione (murti) in cui non c’è azione né chi agisce.
Di che cosa può essere l’agente, chi dev’essere l’agente e dove?
Egli non è rivelato in ciò che definite la schiavitù dell’azione.
Egli stesso è l’azione (kriya), Lui, l’Eterno, che non può essere
mai distrutto. Distrutto (nasta)** significa ‘non-Amato’ (na-ista), e
non Chi non può essere indesiderato (anista); poiché Lui è la sola ed
unica cosa desiderata da tutta la crea-zione, l’Amato di tutti. Dovete
comprendere che l’Uno ‘Senza Forma’ (Nirakara) e ‘Senza Qualità’
(Nirguna), è anche ‘Con Forma’ e ‘Con Qualità’. Qual è
nell’essenza la differenza tra acqua e ghiaccio? Potete dirlo? Solo Lui
È, nient’altro che Lui. L’Uno che è pura Coscienza e pura
Intelligenza ha molte forme e apparenze, ma nello stesso tempo è senza
forma. Per questo, che la chiamiate azione del mondo o azione del
ricercatore, sono entrambe Quello. Ogni azione è libera; in altre parole,
non si pone affatto la questione dell’azione. Sapete perché è così:
c’è solo un’unica ed eterna Realtà (Nitya Vastu), ma poiché siete
limitati dai vostri diversi modi di vedere, parlate del non-eterno e
affermate che il risultato dell’azione non può durare, che il
cambiamento è la sua stessa natura.
Dove conduce l’incessante cambiamento del mondo sempre mutevole?
L’azione in cui non c’è possibilità di schiavitù è davvero ‘essere’.
‘Jagat’ (mondo) designa il movimento che è un continuo morire; in
altre parole, il suo carattere innato è il cambiamento perpetuo. Sul
piano dell’individuo, e quindi della schiavitù, ogni cambiamento
appartiene esclusivamente a questo tipo di movimento. Rivolti a Quello (Tat
mukhi), molti stanno lottando, ciascuno nel proprio modo particolare;
uno sforzo del genere è certamente dovere di tutti. Per orientare il
corso della propria vita in questa direzione, la persona comune deve
impegnarsi in azioni che hanno per fine Quello (Tat karma).
Ora però, riflettete attentamente e realizzate che siete eternamente
liberi, perché l’azione è sempre libera, non può rimanere legata. Non
sapete che la corda con cui legate tutto in questo mondo dovrà rompersi o
rovinarsi? Malgrado usiate catene di ferro, o anche d’oro, tutto ciò
che lega un giorno si romperà o sarà distrutto. Esistono catene nel
mondo che non possono rompersi né essere distrutte? L’unico
responsabile della schiavitù della mente è il lamento per i legami
temporanei, perché la mente non può essere confinata in alcun luogo.
Come un bimbo irrequieto, indifferente al bene o al male, essa cerca la
beatitudine suprema, non è mai soddisfatta della felicità temporanea e
dunque è sempre errabonda. Come può essere a riposo finché non trova la
via alla Realtà suprema, finché non viene assorbita completamente nella
sua sorgente, riposando nel suo stesso Sé? Nella profondità del vostro
cuore sapete di essere liberi; ecco perché è nella vostra natura
desiderare la libertà. Nello stesso modo, se per qualche buona fortuna
Egli si rivela come azione, questa cesserà da sé. Ristagno equivale a
morte; per rinunciare all’arresto del movimento, l’uomo ricorre a
innumerevoli espedienti. Bisogna rinunciare solo a ciò che cade da sé.
Insistete nel dire che la mente va dissolta; ma non dimenticate che la
stessa mente è il mahayogi, sì, lo yogi sublime. Le vostre scritture
dicono che tale yogi si comporta come un bambino capriccioso, che ignora
la pulizia, la decenza e la proprietà, o come un pazzo o come uno
all’apparenza svogliato e insensibile. Ritenete molto elevato ciò che
assomiglia alla completa indifferenza e inattività, e inoltre dite: “Ciò
che è nel microcosmo è nel macrocosmo”.
Un’incarnazione divina (avatar) che gioca come un bambino – quant’è
adorabile, com’è affascinante! Quando la gente comune legge o sente
parlare dell’infanzia di Sri Krishna o la vede rappresentata sul
palcoscenico, l’interpreta alla luce del comportamento dei propri
figli, poiché è con questi che ha familiarità. Da dove dovrebbe venire
la capacità d’intenderne il significato interiore? Quando assistete ad
una rappresentazione teatrale del gioco amoroso tra Radha e Krishna nel
Rasalila, o a una rappresentazione del Ramalila, non vedete il vero lila,
che è totalmente spirituale, sovrannaturale (aprakrta), trascendentale.
Laddove vi è un’esperienza reale, ciò è dovuto all’opera della
visione spirituale.
Il
Guru
Domanda: La realizzazione del Sé dipende dal potere del guru o avviene
indipendentemente da lui?
Mataji: Prima di tutto va chiarito che è l’azione del potere del guru a
mettere in moto la forza di volontà; in altre parole, si può dire che la
forza di volontà derivi dal potere del guru. È l’Uno che si manifesta
in entrambi, nel potere del guru e nella forza di volontà. Chi e che
cos’è quest’Uno? Tutto ciò che è manifesto è Lui, e null’altro.
Allora perché classificare separatamente il sentiero di chi dipende da se
stesso (purushkara)? Si può certamente differenziare dal resto, ma
bisogna capire che esso è basato sul lavoro del guru interiore. Vi sono
ricercatori della verità inclini a procedere senza un guru, perché nella
loro linea d’approccio si enfatizza il dipendere da se stessi, il fare
assegnamento sul proprio sforzo. Se si va alla radice del problema, si
vedrà che nel caso della persona che fa sadhana spinta da un’intensa
aspirazione e facendo affidamento sulla propria forza, l’Essere Supremo
si rivela in maniera speciale attraverso l’intensità del suo sforzo.
Sapendo che è così, che motivo ci sarebbe, da qualunque punto di vista,
di sollevare obiezioni contro il fatto di fare affidamento su se stessi?
Tutto quello che si può dire o chiedere al riguardo sta nei limiti del
pensiero umano, che è limitato; c’è però uno stato in cui tutto è
possibile.
La linea d’approccio del dipendere dalla propria forza o capacità è,
come tutti gli altri approcci, un’operazione dell’unico Potere. Non
v’è dubbio che il potere del guru può operare in maniera speciale
attraverso la fiducia in se stessi, e così non ci sarà bisogno di un
insegnamento esterno. Se alcuni aspiranti possono dipendere
dall’insegnamento esterno, perché altri non possono ricevere guida
dall’interno, senza l’ausilio delle parole espresse esternamente?
Perché non dovrebbe essere possibile, se anche lo spesso velo
dell’ignoranza umana può essere distrutto? In questi casi
l’insegnamento del guru opera dall’interno.
Nella vita comune, si può notare che l’insegnante che istruisce i
bambini deve ripetere continuamente la stessa cosa agli alunni normali; ma
ve ne sono alcuni che ricordano e afferrano qualunque cosa venga detta
loro una sola volta. Non avete mai incontrato alunni che non hanno bisogno
neppure che gli si dica tutto su un argomento, e che nel corso dello
studio pervengono ad una tale comprensione che l’intero argomento gli è
subito chiaro? Come sapete, esistono questi studenti intelligenti.
Allo stesso modo, accade a volte che un certo numero di persone ricevano
insieme l’iniziazione e pratichino la sadhana; ma solo molto raramente
avviene che uno o due iniziati, realizzando l’Unità di tutto, facciano
un tale progresso da pervenire allo stato di maestro del mondo. Ciò si può
attribuire all’effetto dell’insegnamento ricevuto nelle vite
precedenti che dà frutto in quella presente. D’altro canto, in alcuni
casi, non potrebbe essere dovuto semplicemente al grande Momento che porta
l’Illuminazione? Come si può dire chi può essere illuminato e in quale
momento?
Si incontrano dei ricercatori della verità molto zelanti. L’unione
dell’individuo con il Tutto esiste eternamente; il desiderio di essere
consapevoli di quest’unione non è dovuto al fatto che l’Uno rivelerà
Se Stesso?
Molti studenti frequentano l’università, ma solo pochi si distinguono,
anche se tutti ricevono l’insegnamento dagli stessi professori.
Nessuno può predire in quale istante particolare le circostanze
contribuiranno a determinare in ognuno il grande Momento. All’inizio ci
possono essere fallimenti, ma ciò che conta è il successo finale. Un
aspirante non può essere giudicato dai risultati iniziali; nel campo
spirituale il successo finale significa successo fin dall’inizio.
In effetti, che cos’è un mantra? Mentre si è schiavi dell’idea di
‘io’ e ‘tu’ e ci s’identifica con l’ego, il mantra rappresenta
lo stesso Essere Supremo sotto forma di suono. Non vedete come certe
sillabe sono state magnificamente messe insieme nei mahavakya? Pensate di
essere completamente incatenati, ma è solo ciò che crede la vostra
mente. Ecco perché la vera conoscenza può sopravvenire nello stesso
istante in cui si pronuncia una parola di potenza, composta semplicemente
da alcune lettere comuni messe assieme. Com’è misteriosa e intima la
relazione tra queste parole e l’immutabile Brahman! Prendete ad esempio
lo Shabda Brahman: con il semplice shabda ci si stabilisce nel Sé.
L’oceano è contenuto nella goccia, e la goccia nell’oceano. Che
cos’è una scintilla, se non una particella di fuoco – di Lui, che è
la stessa conoscenza suprema?
È l’idea di ‘tu’ ed ‘io’ che ha tenuto tanto tempo prigioniera
la vostra mente. Dovete comprendere che la combinazione di suoni che va
usata è quella che ha il potere di liberarvi dalla schiavitù. In verità
è attraverso il suono che si entra nel silenzio, poiché Egli è
manifesto in tutte le forme, senza eccezioni. Tutto è possibile nello
stato che è oltre la conoscenza e l’ignoranza.
Fino a quando non sarete stabiliti completamente nella conoscenza
suprema, dimorate nel reame di onde e suoni. Ci sono suoni che attirano la
mente all’esterno e altri che l’attirano all’interno; ma i suoni che
tendono all’esterno sono collegati anche a quelli che portano
all’interno. A causa della loro correlazione, in un momento propizio
potrebbe avvenire quella perfetta unione seguita dalla grande
Illuminazione, la rivelazione di ciò che È. Perché non dovrebbe essere
possibile, giacché Lui è sempre rivelato? Inoltre, poiché Lui rivela Se
stesso, perché non si dovrebbe ammettere che ci possano essere esempi
d’Illuminazione senza l’aiuto della parola esterna? In alcuni casi si
ricorre alla parola esterna, in altri no; comunque, nel mondo degli uomini
così come sono, di solito c’è questa dipendenza. Nei casi in cui non
è così, sarà dovuto a istruzioni e tendenze che risalgono alle nascite
precedenti; anche questo può certamente accadere. Non è anche
giustificabile immaginare che l’illuminazione possa avvenire anche senza
avere, nelle vite passate, ricevuto insegnamenti e sviluppato una tendenza
in quella direzione? Poiché Lui risplende di luce propria, come si può
escludere una qualunque possibilità? La diversità è la nostra stessa
diversità; ciascuno vede e parla secondo la propria luce.
L'unità
Lui
solo È – perciò la questione di accettare o rifiutare non si pone. Ha
mai cominciato ad esistere, perché si debba accettarLo? Egli non è mai
nato. Secondo un certo punto di vista è vero che questo mondo non esiste,
che la Verità si trova eliminando nome e forma. D’altro canto, nome e
forma sono costituiti dall’akshara*, dall’indistruttibile; ma, in
essenza, Quello è Verità. L’apparizione del mondo fenomenico (dovuta
ad una percezione erronea) e la sua scomparsa (dovuta alla giusta
Conoscenza) sono in definitiva la stessa cosa: sono entrambe Lui. Non si
tratta dunque di correggere un errore; c’è solo Lui, l’Unica Base di
tutto. L’errore di pensare che esista l’errore va sradicato, avendo
Lui come meta. Parlare in questo modo serve solo ad aiutare qualcuno a
comprendere.
Lo studio delle sacre scritture e di testi simili, a condizione che non
diventi un’ossessione, può aiutare ad afferrare la verità. Fino a
quando ciò che si è letto non è diventato esperienza personale, vale a
dire non è stato assimilato nel proprio essere, non ha realizzato il suo
scopo. Un seme tenuto nella mano non può germogliare: per poter
manifestare tutte le sue potenzialità deve svilupparsi in una pianta e
produrre frutto. Eppure, nello stato in cui non si può parlare di
rivelazione né di occultamento, ciò che appare e diviene è sempre
presente. Ad un certo livello si vedono, per così dire, bagliori, barlumi
della Realtà; anche questo è uno stadio. Non si può comprendere ciò
che si percepisce, e dunque si è confusi. In verità ci sono innumerevoli
stati e stadi. Il potere di ardere del fuoco è indivisibile, ma come può
esserci pienezza e completezza nei cosiddetti bagliori o barlumi che si
percepiscono? La questione della divisione non si pone solo dove c’è
quella pienezza. Ciò che ci vuole è un genuino risveglio, un risveglio
dopo il quale non c’è più nulla da conseguire. Il mondo degli oggetti
dei sensi può o non può essere percepito, non fa alcuna differenza.
Esiste uno stato in cui è così.
Tutto quello che si fa appartiene al regno della morte, dell’incessante
mutamento. Nulla può essere escluso. Tu sei nella forma della morte e
nella forma del desiderio; Tu sei il divenire e l’essere, la
differenziazione e l’identità – giacché Tu sei infinito, senza fine.
Sei Tu che ti celi nel travestimento della natura. Da qualunque punto di
vista si possa fare un’affermazione, non m’oppongo mai ad essa; poiché
Egli è tutto, Lui solo è: l’Uno con forma e senza forma. La vostra
essenza divina non si può rivelare nel vostro stato attuale. Quando si
costruisce un tetto, è essenziale che tutti i materiali che lo compongono
rimangano uniti. Non importa quanto tempo può richiedere, il tetto
dev’essere solido. Allo stesso modo (nessuna similitudine è perfetta),
v’identificate con un tipo di lavoro nel quale siete esperto, credendo
che costituisca la vostra vera natura. Fin qui va bene; ma dov’è la
totalità del vostro essere, che è con forma e senza forma? Dovete
riflettere: che cosa dev’essere conseguito? Dovete diventare coscienti
del vostro Sé nella sua totalità. No, diventare pienamente coscienti non
basta; dovete andare oltre coscienza e incoscienza. Ciò di cui si ha
bisogno è la rivelazione di Quello. Dovete continuare a discriminare, a
fare uno sforzo sostenuto per convincere la vostra mente del fatto che
japa, meditazione e tutti gli altri esercizi spirituali hanno come scopo
il vostro risveglio. In questo pellegrinaggio non bisogna rilassarsi mai:
ciò che conta è lo sforzo! Bisogna cercare di rimanere sempre impegnati
in questo sforzo; deve far parte del proprio essere, bisogna fondersi con
il proprio Sé. Sei Tu che gridi disperatamente nell’angoscia, e Tu
Stesso sei la Via e la Meta. Affinché questo possa rivelarsi, l’uomo
deve usare con vigore incessante la propria intelligenza.
Un albero s’annaffia alle radici. La radice dell’uomo è il cervello,
dove il suo potere raziocinante – l’intelletto – è costantemente al
lavoro. Tramite il japa, la meditazione, lo studio delle scritture e
simili pratiche, si progredisce verso la Meta.
L’uomo deve dunque impegnarsi e, fissando lo sguardo sull’Uno,
avanzare lungo il sentiero. Qualunque legame, vincolo o restrizione
s’imponga deve avere come fine la Meta suprema della vita. Bisogna
andare avanti con indomita energia alla scoperta del proprio Sé.
Che s’intraprenda il sentiero della devozione, in cui l’ ‘io’ si
perde nel ‘Tu’, o il sentiero della ricerca del Sé, in cerca del vero
‘Io’, si troverà soltanto Lui tanto nel ‘Tu’ quanto nell’ ‘Io’.
Perché mentre si percorre il sentiero lo sguardo dev’essere fisso? Lo
sguardo è Lui e anche il ‘perché’ è Lui. Ciò che è rivelato o
nascosto, dovunque e in qualunque forma, sei ‘Tu’, è l’ ‘Io’.
Negazione e affermazione sei ugualmente ‘Tu’: l’Uno. Lo capirete
pienamente solo quando troverete tutto dentro di voi – in altre parole,
nello stato in cui non c’è altro che il Sé. Ecco perché, mentre siete
sulla via, dovete dirigere lo sguardo verso l’Eterno. Anche la limitazione
è una manifestazione dell’Illimitato, dell’Infinito; in essenza non
è altro che il vostro Sé. Fino a quando tutto questo non si rivela, non
si può parlare di realizzazione piena, completa, perfetta, che tutto
comprende – chiamatela come volete! In tale stato di Compimento come
potrebbe sorgere ancora la questione della perfezione o
dell’imperfezione, della completezza o dell’incompletezza?
[*) – Il termine ‘akshara’
significa ‘indistruttibile’, e anche ‘lettere dell’alfabeto’.]
Bhakti
Mataji: Volete sapere se la grazia (ahetuka kripa) è senza causa o
motivo? Certamente, perché la grazia è per sua stessa natura al di là
di ogni causa o motivo. Quando si agisce, si raccoglie il frutto delle
proprie azioni. Se, per esempio, servite vostro padre e questi,
compiaciuto del vostro servizio, vi fa un regalo, questo sarà il frutto
dell’azione: si fa qualcosa e in cambio si riceve qualcos’altro. Ma la
relazione eterna che esiste per natura tra padre e figlio non dipende da
alcuna azione. Dio è davvero il Padre, la Madre e l’Amico Supremo. Come
potrebbe dunque esserci una causa o un motivo per la Sua grazia? Voi siete
Suo, e in qualunque modo Lui possa attirarvi a Sé, è solo per amore di
rivelarvi Se Stesso. Chi è stato ad instillare il desiderio di trovarLo
che si desta nell’uomo? Chi vi spinge ad agire affinché esso si
realizzi?
Dovete capire che ogni cosa origina da Lui. Qualunque potere, qualunque
abilità possediate – anche voi stesso – da dove nasce? Non hanno
tutti lo scopo di trovarLo, di distruggere il velo dell’ignoranza? Tutto
ciò che esiste ha origine in Lui soltanto; perciò dovete cercare di
realizzarvi. Siete padroni anche di un solo respiro? In qualunque misura,
anche minima, Egli vi faccia sentire la libertà d’azione, se capite che
questa libertà va usata per aspirare a realizzare Lui, sarà per il
vostro bene. Se invece vi credete l’autore delle azioni e pensate che
Dio sia molto lontano e, per la Sua apparente lontananza, agite
gratificando i vostri desideri, questa è un’azione sbagliata. Dovete
considerare tutte le cose come Sue manifestazioni. Quando riconoscerete
l’esistenza di Dio, Egli vi Si rivelerà pieno di compassione, di carità
o di misericordia, secondo l’attitudine che avrete verso di Lui in quel
momento; ad esempio, per l’umile Egli diviene il Signore degli umili.
Se dite: “Egli è immutabile e tuttavia agisce”, pensate che agisca
quando in realtà non ha azione; poiché il vostro ego si vede come
agente, pensa che anche Lui compia delle azioni.
Egli è qualunque cosa pensiate che sia, certo. D’altra parte –
pensate – dov’è Quello, chi dev’essere l’autore di quale azione,
e su cosa dovrebbe agire? Egli cammina senza piedi, vede senza occhi,
ascolta senza orecchie e mangia senza bocca – in qualunque modo possiate
descriverLo, è così.
Quando un sadhaka comincia ad adorare il vigraha del suo Amato, nel corso
della pratica perverrà ad uno stato in cui vedrà la forma dell’Amato
ovunque cadano i suoi occhi e realizzerà: “Tutte le altre divinità
sono contenute nel mio Amato”. Vede che il Signore di ognuno e tutte le
cose sono contenute nel proprio Ishta, e che il suo Ishta risiede
ugualmente in tutte le divinità e, di fatto, in ogni cosa. Il sadhaka
arriva a sentire: “Così com’è dentro di me, allo stesso modo il mio
Signore è veramente presente in ogni altro individuo. Il mio Amato è
ovunque nell’universo – nell’acqua, nella terra, negli alberi, negli
arbusti e nei rettili; inoltre, non sono espressioni del mio Amato tutte
le varie forme e modi di essere che vediamo? Non c’è altro che Lui.
Egli è più piccolo del più piccolo, e più grande del più grande”.
Spinto da diverse tendenze innate, ciascuno di voi adora una divinità
differente. Il vero progresso nel campo spirituale dipende dalla sincerità
e dall’intensità della propria aspirazione. La misura del progresso
spirituale di una persona si rifletterà nelle manifestazioni concesse dal
suo Ishta, che in nessun modo rimarrà inaccessibile o separato dal Suo
devoto, ma Si lascerà contattare in un’infinita varietà di modi. Per
quanto condizionato, troverete il Tutto dentro di voi e sarete in grado di
comprendere che le vostre tendenze innate sono ugualmente parte di questo
Tutto. Quanto è stato detto rappresenta un punto di vista. Non potete
dissociarvi dal Tutto.
Che cosa sono i diversi tipi di animali, uccelli, uomini e così via? Cosa
sono queste varietà e forme di vita, che cos’è l’essenza dentro di
loro? Che cosa sono in realtà queste forme sempre mutevoli? Con gradualità,
lentamente, poiché siete presi nella contemplazione del vostro Amato,
Egli Si rivelerà a voi in ognuna di queste forme; nemmeno un granello di
sabbia sarà escluso. Realizzerete che acqua, terra, piante, animali,
uccelli ed esseri umani sono solo forme del vostro Amato. Alcuni ne fanno
esperienza in questo modo. La realizzazione però non viene a tutti nella
stessa maniera. Ci sono infinite possibilità. Il sentiero specifico lungo
il quale l’Universale si rivelerà ad ogni singolo individuo nella sua
illimitatezza rimane ignoto alla persona comune.
Riguardo ciò che avete appena udito nel discorso sullo Srimad Bhagavatam
circa il corpo universale del Signore, che comprende ogni cosa –
alberi, fiori, foglie, colline, montagne, fiumi, oceani e così via –
verrà il tempo, dovrà venire, in cui l’individuo percepirà di fatto
la Forma Universale dell’Uno che pervade tutto. La varietà delle Sue
forme e apparenze è infinita, incalcolabile, interminabile. “Colui che
ha molte forme, e che costantemente crea e distrugge le Sue forme, è
l’Uno che adoro”. Nella misura in cui crescerete nel riconoscimento
sempre più pieno e vasto di questa verità, realizzerete la vostra unità
con ciascuna di queste innumerevoli forme. In quest’immensità vi sono
diverse forme, diversi modi, manifestati in maniere differenti, senza
fine, senza numero – e tuttavia c’è fine e numero. Quando un sadhaka
entra in questo stato, diviene consapevole della continua trasformazione
di tutte le forme e di tutti i modi. Egli si desta alla vera comprensione,
vale a dire realizza che lo Stesso Supremo si manifesta come il potere di
comprensione. Quando la corrente del proprio pensiero, che era diretta
verso le cose del mondo, viene invertita e rivolta all’interno, lo
stesso Uno si rivela come la ‘capacità segreta’. Guardate il mondo
sempre mutevole, nel quale ciò che esiste in un dato momento non esiste
il momento dopo, nel quale l’essere entra continuamente nel non-essere.
Chi è dunque questo non-essere? Esiste anche il non-esistente.
A questo proposito bisogna dire che se si vuole trovare la Verità, ogni
cosa dovrà essere realizzata così com’è, al proprio posto, senza
scegliere una cosa piuttosto che l’altra. È un regno senza fine, nel
quale anche ciò che si percepisce come non esistenza è ugualmente
un’espressione dell’Uno. Nel Cinmayi, il mondo puramente spirituale,
tutte le forme – quali che siano – sono sempre eterne. Simultaneamente
e nello stesso luogo c’è sia la non-esistenza sia l’esistenza, ed
anche né la non-esistenza né l’esistenza – e ancora di più, se
potete andare oltre!
Come il ghiaccio è solo acqua, così l’Amato è senza forma e senza
qualità; quindi la questione della manifestazione non si pone. Una volta
realizzato questo, si è realizzato il proprio Sé. Trovare l’Amato,
infatti, vuol dire trovare il mio Sé, scoprire che Dio è la cosa più
intima, assolutamente identico al mio Sé più profondo, il Sé del mio Sé.
In conformità alle esigenze del tempo e delle circostanze, possono
verificarsi varie possibilità: per esempio, la rivelazione dei mantra ed
anche di tutti i Veda da parte degli antichi rishi, che furono i veggenti
dei mantra. Tutto questo accade in accordo con il karma dell’individuo e
con la disposizione interiore della persona interessata.
Quando un sadhaka realizza cosa sono essenzialmente la forma e l’assenza
di forma, si ha davvero una realizzazione perfetta. Egli viene a conoscere
cos’è il bhava, la relazione interiore della forma con lo Shabda
Brahman, i numerosi tipi di linguaggi – infiniti nella loro varietà –
e realizza anche che il linguaggio è lo Shabda Brahman. Davanti a lui si
manifestano innumerevoli tipi di suoni, ciascuno nella sua caratteristica
forma visiva; è così che tutte le forme diventano visibili. Nello stesso
tempo la forma in realtà è vuota; si capisce che libertà dalla forma
significa realizzare che la stessa forma è il vuoto. In tal modo il mondo
si rivela come vuoto, prima di fondersi nel Grande Vuoto (Mahasunya). Il
vuoto che si percepisce all’interno del mondo è una parte di prakriti,
e dunque ancora forma. Da questo vuoto si deve procedere fino al Grande
Vuoto.
La percezione del mondo, basata sulla vostra identificazione con il corpo
e la mente, finora è stata la fonte della vostra schiavitù. Verrà il
tempo in cui questo tipo di percezione svanirà davanti al risveglio della
coscienza universale, che si rivelerà come un aspetto della Conoscenza
Suprema. Cosa succederà alla stessa Essenza, quando ci sarà la
conoscenza dell’Essenza delle cose? Rifletteteci! Quando sorgerà
l’intuizione della forma e del senza forma in tutta la sua immensità,
tutto sarà sradicato. Trascendendo il livello in cui esistono forma,
diversità e manifestazione, si entra nello stato dell’assenza di forma.
Come si può chiamare? Dio, Divinità, lo stesso Paramatman. Man mano che
il sé individuale viene gradualmente liberato da tutte le catene, che non
sono altro che il velo dell’ignoranza, esso realizza la sua unità con
lo Spirito Supremo (Paramatman) e si stabilisce nel suo Essere essenziale.
Passiamo ora ad un altro aspetto della questione. Ciascuno ha il suo
sentiero. Alcuni di quelli che avanzano lungo la linea del vedanta, quando
progrediscono vedono dischiudersi il sentiero dei rishi. Può dischiudersi
lo stesso sentiero dei rishi anche ad altri, le cui pratiche spirituali,
rituali o yoga si attuano con l’aiuto d’immagini e altri mezzi. Altri
ancora, guidati da voci e locuzioni del mondo invisibile, dapprima
sentono queste voci come suoni udibili, ma gradualmente le ascoltano in un
linguaggio perfetto che rivela il pieno significato di quanto è espresso.
A poco a poco diviene chiaro che queste voci nascono dal proprio Sé e che
sono Lui Stesso che Si manifesta in quel modo particolare. Quale che sia
la linea d’approccio di un individuo, a tempo debito, in un modo o
nell’altro, gli si può dischiudere il sentiero dei rishi o un sentiero
simile. Ma dire in quale momento accadrà e a chi, è oltre la
comprensione della persona comune.
Supponete che un uomo segua il suo sentiero specifico, che potrebbe essere
l’adorazione di una divinità. Chi è presente realmente in quella
particolare divinità? Certamente l’Uno, il Sé senza forma! Di
conseguenza, come Lui è il Sé senza forma, così Lo è l’oggetto
concreto dell’adorazione.
Chi si è stabilito pienamente nel Sé con il metodo del vedanta può
trovare ugualmente la Realtà Suprema nel vigraha, così come l’acqua è
contenuta nel ghiaccio. Vedrà allora che tutti i vigraha sono realmente
forme spirituali dell’Uno. Perché, cosa si cela nel ghiaccio? Acqua,
naturalmente. Laddove Lui è presente come Tutto, in quel ghiaccio vi sono
fasi di scioglimento, come ghiaccio solido e semisolido. Nel puro Sé,
invece, non possono esservi stadi. Anche se il ghiaccio può sciogliersi,
è diventato ghiaccio ed è possibile che esista di nuovo come tale; di
conseguenza, per Colui che Si manifesta nella forma del ghiaccio la
questione di eterno e non-eterno non si pone. Per questo si parla di
dvaitadvaita, per indicare che il dualismo e il non dualismo sono entrambi
fatti – come voi siete nello stesso tempo padre e figlio.
Come potrebbe esistere il figlio senza il padre o il padre senza il
figlio? In questo modo si capisce che nessuno dei due è meno importante
dell’altro, e che qui non può esservi distinzione tra più alto e più
basso: c’è solo uguaglianza, identità. C’è però un posto in cui si
può effettivamente parlare di stati più alti e più bassi. Ciascuno dei
due punti di vista è in sé completo. (Nessuna similitudine può essere
applicata in ogni dettaglio, perciò considerate solo quel tanto per cui
è intesa). Sia l’acqua sia il ghiaccio condividono la natura
dell’eternità; così non c’è dubbio che Lui sia con e senza forma.
Quand’è con forma – cosa paragonabile al ghiaccio – Egli appare
sotto innumerevoli forme e modi, ciascuno dei quali è la Sua forma
spirituale (Cinmayi vigraba). Secondo la propria via d’approccio, si dà
risalto ad una forma particolare. Perché dovrebbero esserci tante
differenti sette e sottosette religiose? Attraverso ciascuna di esse
Egli Si dona a Se stesso,* affinché ogni persona possa avanzare secondo
la sua unicità individuale.
Solo Lui è l’acqua e il ghiaccio. Cosa c’è nel ghiaccio? Solo acqua.
Secondo il dvaitadvaita, sia la dualità sia la non dualità sono dati
di fatto; da quel punto di vista c’è sia la forma sia la libertà dalla
forma. Ancora, quando si dice che c’è sia la dualità sia la non dualità,
quand’è valida quest’affermazione? Vi è certamente un livello in
cui differenza e non-differenza si percepiscono simultaneamente. In verità
Egli è tanto nella differenza quanto nella non-differenza. Dal punto di
vista del mondo si dà per certo che vi siano differenze. Lo stesso fatto
che vi sforziate di trovare il vostro Sé mostra che accettate la
differenza, poiché, alla maniera del mondo, vi pensate separati dal
resto. Da questo punto di vista, la differenza indubbiamente esiste.
Allora il mondo è destinato inevitabilmente alla distruzione (nasha),
poiché non è né il Sé (na Sva) né Lui (na Sha). Non può durare per
sempre e, tuttavia, chi è che appare, anche sotto forma dell’effimero?
Pensateci. Che cosa va e viene? Ecco, si tratta di un movimento simile a
quello del mare (samudra), Lui che esprime Se stesso (sva mudra). Le onde
sono solo l’alzarsi e l’abbassarsi, il movimento dell’acqua, ed è
l’acqua che si forma in onde (taranga) – in parti del Suo corpo (Tar
anga) – in essenza sempre acqua.*
Cos’è che fa apparire la stessa sostanza in forme differenti, come
acqua, ghiaccio e onde? Ciò si chiede di nuovo da un particolare piano di
coscienza. Riflettete e vedete quanto potete capire! Nessuna similitudine
è sempre valida in tutti i sensi. Quale lezione avete effettivamente
tratto? Scopritelo!
Avete compreso che ciò che credevate con forma è anche senza forma; ma
la realizzazione della verità non può venire attraverso un processo
intellettivo; capirete certo anche questo.
Quanto detto implica che Egli si manifesta eternamente, dispiegando forma
e qualità, malgrado sia senza forma e senza qualità; inoltre, poiché
c’è solamente l’Uno-senza-secondo, la questione degli attributi e
della mancanza di attributi non può sorgere. Voi parlate dell’Assoluto
come Verità, Conoscenza, Infinità. Nel puro advaita non può mai sorgere
la questione della forma, della qualità o del predicato – sia esso
positivo o negativo. Quando dite: “Invero questo è Lui e anche quello
è Lui”, con la parola ‘anche’ vi siete limitato e di conseguenza
accettate la separazione delle cose come riferito prima. Nell’Uno non ci
può essere ‘anche’. Lo stato d’Unità Suprema non può essere
descritto come ‘Quello ed anche qualcos’altro da Quello’. Nel
Brahman senza attributi non possono esserci cose come la qualità o
l’assenza di qualità; c’è soltanto il Sé.
Supponiamo che sosteniate che Egli sia con qualità, incarnato. Quando vi
concentrate completamente sulla forma particolare che adorate, per voi il
senza forma non esiste – e questo è uno stato (sthiti). Vi è un altro
stato in cui Egli appare sia con attributi sia senza. C’è un altro
stato ancora, in cui esiste sia la differenza sia la non differenza –
tutti e due inconcepibili – in cui Lui è totalmente oltre il pensiero.
Si può assumere anche il punto di vista del Karmakanda vedico. Questo e
tutto ciò che è stato detto prima fanno parte dello Stato Supremo, del
quale si dice che anche se il Tutto è preso dal Tutto, il Tutto rimane
Pieno. Non possono esservi addizioni né sottrazioni; la totalità del
Tutto rimane intatta. Qualunque linea possiate seguire rappresenta solo un
suo aspetto particolare. Ogni linea ha i suoi mantra, i suoi metodi, le
sue credenze e miscredenze – a quale scopo? Per realizzare Lui, il
vostro Sé. Chi o cosa è questo Sé? Secondo la vostra predisposizione,
Lo trovate nella relazione del perfetto servitore con il suo Maestro,
della parte con il Tutto o semplicemente nell’Unico Sé (Atman).
Ecco, se si crede in Svayam Bhagavan, il Suo Potere Divino (Shakti) è già
dato per scontato. In questo caso distinguete tra Bhagavan e Bhagavati,
tra Dio maschile e il Suo potere femminile. Da un certo punto di vista non
è questione di maschile o femminile, ma da un altro punto di vista la
divinità è concepita divisa in questi due aspetti. La Vergine Eterna (Kumari)
non dipende da alcuno; Lei è l’Uno stesso come Potenza. Laddove la
Realtà Suprema è concepita come Shakti, è riconosciuta come pura
Esistenza (Satta) – con forma o senza forma – e la Potenza ne
costituisce soltanto l’Essenza. È ancora un altro punto di vista. La
forma può emergere solo quando il bhava (il desiderio di creare) si
manifesta come kriya (azione). Anche questo è un modo di vedere la cosa;
inoltre se concepite la stessa Bhagavati come Shakti, vi sono innumerevoli
manifestazioni della Sua infinita Potenza. La Mahashakti è la causa prima
di tutto: creazione, conservazione, dissoluzione. Come nel caso di un
albero, in cui tutti i rami e i ramoscelli provengono dalle sue radici,
così tutti i tipi e ordini di divinità, di angeli, arcangeli e così
via, vengono in esistenza come manifestazioni di quella Potenza.
Il carattere specifico di Shiva è la trascendenza di ogni cambiamento e
mutamento, simboleggiato da un cadavere (shava), che significa che nella
morte della morte c’è l’Immortalità, cioè Shiva. Laddove c’è
creazione, conservazione e dissoluzione, Lui è presente come divenire ed
è Lui Stesso a mantenere l’universo col nome di Mahavishnu. Per quanto
riguarda i diversi aspetti cosmici, Egli è davvero in ciascuno di essi,
manifestandoSi in diversi modi e come il senza forma. Ciascuno di essi
contiene tutto il resto, e in questa molteplicità si vede l’Uno! Quando
guardate una forma non potete vederne altre, ma in ciascuna di esse è
presente il Tutto, e ogni forma rivela l’Uno. Nel vuoto c’è pienezza,
e nella pienezza il vuoto. Ci sono possibilità di ogni tipo e
descrizione, ma la base è l’Uno, la Grande Luce. Egli è Infinito.
Anche quando si parla semplicemente di un sentiero, come se ne può
trovare la fine? Quando però l’individuo è incapace di procedere
oltre, allora sembra che ci sia una fine.
Che cos’è la pura Esistenza (Satta)? Il Sé, lo Spirito Supremo,
chiamatelo come volete. Ciò che chiamate Dio (Bhagavan), Maestà Divina,
Gloria o Splendore è solo Lui, l’Uno. Dio è immutabile, il non agente
(akarta), poiché non agisce. Solo chi è impegnato in un’azione può
essere considerato l’autore di quell’azione. Poiché è presente in
tutte le cause e in tutti gli effetti, come si può dire che li controlli
o che non li controlli? In questo caso Egli è senza azione; ma dov’è
la Sua maya, dove si percepisce il gioco della Sua Potenza e Maestà
Divina e, dove la natura opera secondo leggi stabilite, chi si manifesta là?
L’Uno naturalmente. Mutabile e immutabile – questi vostri punti di
vista unilaterali appartengono al velo dell’ignoranza. Parlate di Lui
come dell’agente o del non-agente, e cercate di limitarLo all’uno o
all’altro. Dal vostro punto di vista è naturale percepire le
differenze. Lui è ciò che volete che sia; Lo vedete secondo il vostro
modo di pensare, e come Lo dipingete, così Egli è.
Fino a quando esiste il sipario, il velo dell’ignoranza, si è costretti
a vedere e a sentire in questo modo limitato. Fino a quando non si rimuove
l’oscuramento, come ci si può aspettare che avvenga la totale
rivelazione della Verità? Quando verrà strappato il velo si rivelerà il
fatto che anche la lacerazione del velo, e invero tutto ciò che esiste o
avviene da qualsiasi parte, è solo Lui.
I tanti credi e le numerose sette servono a far sì che Egli possa donarsi
a Se Stesso attraverso diversi canali – ciascuno dei quali ha la sua
bellezza – e a far sì che si possa scoprire la Sua Presenza, che Si
rivela nelle innumerevoli vie, in tutte le forme e nel senza forma. Lui
Stesso è il Sentiero, e attira ogni persona su una via particolare, in
armonia con le sue disposizioni e le sue tendenze interiori. L’Uno è
presente in tutte le sette, anche se in alcuni casi sembra esservi
conflitto tra esse, a causa delle limitazioni dell’ego.
Questo corpo, comunque, non esclude nulla. Chi segue un particolare credo
deve andare avanti fino al punto da realizzare completamente tutto ciò
che quel credo può dargli. In altre parole, quando avanzate lungo una
via, quando aderite ad una determinata religione, fede o credenza – che
concepite distinta e in conflitto con le altre – dovete prima di tutto
realizzare la perfezione indicata dal suo fondatore, e ciò che è al di là
si rivelerà spontaneamente.
Quanto è stato appena spiegato è applicabile nel caso di ciascuna delle
varie sette; è però vero che se si rimane soddisfatti di ciò che si può
conseguire seguendo una via, lo Scopo della vita umana non è stato
raggiunto. Ci vuole una realizzazione completa e libera dal-l’antagonismo,
che sradichi ogni conflitto e divergenza d’opinione. Se è qualcosa di
meno, significa che l’esperienza è parziale, incompleta. Nel caso della
vera realizzazione, non possono esserci contrasti con alcuno; si è
completamente illuminati in tutte le fedi e dottrine, e si vede che tutte
le vie sono ugualmente buone. Questa è la realizzazione assoluta e
perfetta. Fino a quando c’è contrasto non si può parlare di
realizzazione; nondimeno, bisogna avere una fede risoluta nel proprio
Ishta e seguire il sentiero scelto con costanza e concentrazione.
Per quanto riguarda il frutto dell’azione, in qualunque linea
d’approccio, chi pensate si rivelerà laddove c’è uno sforzo fatto
senza interruzione e con una concentrazione indivisa sull’unica Meta?
Lui, l’Uno Indivisibile! Ma l’Uno Perfetto rivela Se stesso anche
nella pura azione. Questo è il vero significato di ogni azione, dello
sforzo, che è la caratteristica innata dell’individuo. La vera natura
dell’uomo lo spinge a fare azioni che le diano espressione; la sua vera
natura desta in lui il bisogno di compiere azioni di questo tipo. La vera
natura dell’uomo, Sva, Svayam, Atman – datele il nome che preferite
– è il Supremo, Io Stesso.
[*) – Un gioco di parole:
sampradaya = setta religiosa; sama = pienamente; pradam kora = dare,
offrire.]
dal sito http://www.anandamayi.org/
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